Il Culto




L'arte di festeggiare Dio




...In realtà il Nuovo Testamento non mostra un grande interesse alle vicende del culto.


Il linguaggio cultuale nel Nuovo Testamento a dire il vero scarseggia; troviamo anzi degli attacchi al tempio, che deve essere distrutto - vedi la critica da parte di Gesù contro il tempio, una delle cause della sua condanna (Gv. 2, 13 ss.).


Il riferimento è alla parabola del "padre matto" (perché è un padre così gioioso, così misericordioso!) in Luca 15,11-31. Questa parabola ci mostra alcune "direzioni" che vogliamo prendere per costruire una liturgia.


Trovate ad un certo punto della parabola il secondo figlio, che tornando dal lavoro sente nella sua casa il rumore di una festa, e perplesso chiede ad un servo che cosa c'è. Al v. 25, si dice che giunge il suono di "musiche e danze" nella casa, che si fanno sentire da lontano: nel greco per "musiche" troviamo il termine "sinfonia" (syn = insieme; fonè = voce). Vorrei appunto trarre da questo testo questi due termini: "musica e danze", "sinfonia" e "coro" (in greco choron non vuol dire soltanto coro ma anche danze, ballo). Sinfonia: essere insieme, un insieme festoso di musiche e di danze. E' una metafora molto stimolante, questa che traiamo dalla parola "sinfonia", una metafora evangelica, che fa riferimento alla dimensione dell'assemblea, dell'insieme: syn esprime un insieme, l'idea assembleare cara ai protestanti e al cristianesimo nel suo legame alle radici ebraiche.


Un evento gioioso, un Dio mobile

Nella visione di questa parabola abbiamo un parlare del culto che invita ad un evento gioioso, festoso, evangelico proprio nel senso del buon messaggio gioioso. Ecco perché abbiamo esordito parlando di "festeggiare Dio"(R. Volp); qui si potrebbe aggiungere - all'arte di festeggiare Dio - anche l'arte di "celebrare il vangelo" (von Allmen).


Sinfonia dunque, come arte di celebrare il vangelo, il vangelo del padre misericordioso, del Dio debole per la sua debolezza verso i perduti - perché l'amore rende deboli. E in questa festa abbiamo un Dio che ama, debole dunque nella sua misericordia. Ma anche un Dio mobile: uno che è disceso dal suo trono, un Dio discendente, incarnato - nella parabola un vecchio padre che corre incontro al suo figlio. Un movimento in questa parabola che nella metafora è un modo di parlare della liturgia come di un movimento.


I perduti ritrovati

La focalizzazione della festa è sui perduti ritrovati - il vangelo di Luca è il vangelo dei figli perduti, il vangelo di quelli che da fuori entrano nella comunità che sta allargandosi sul Mediterraneo. Con questo accento sulla festa (pensiamo alle tante parabole e ai tanti miracoli raccontati dall'evangelista, dove abbiamo questa nota festosa che sta molto a cuore a Luca), il figlio perduto e ritrovato esprime all'inizio il suo "ho peccato". Pare che questa espressione sia un riferimento liturgico alle prime comunità lucane dove già esisteva una certa liturgia dell'incontro con la comunità: per chi veniva da fuori ed entrava nella casa (greco: oikos - era nelle case che si svolgeva il culto), all'inizio dell'incontro (nell'introito) c'era già un rituale del "ho peccato: io da fuori, dal mio passato, entrando ..."; per entrare in questa comunità almeno un accenno a questa dimensione doveva esser fatta.


Chi viene dall'esterno

Ma un analogo riferimento lo troviamo anche nell'epistolario paolino. Ricordiamo il riferimento all'"idiota", all'estraneo, nella 1a Corinzi 14 (1cor 14,23): anche qui troviamo un accenno a questo concetto della riunione della comunità che è sempre aperta verso quell'uomo e quella donna che vengono da fuori - il vangelo rivolto ai pagani. La liturgia è indirizzata non verso quel credente che fa già parte della comunità, ma rispettando invece quell'indirizzo di chi forse per caso entra nella nostra riunione domenicale. E spesso il nostro linguaggio e la nostra costruzione della liturgia risulta come una porta chiusa per chi viene dall'esterno.



testi da "COSTRUIRE" UNA LITURGIA di Jürg Kleemann